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Avvocato Giovanni Agnelli
Avvocato Giovanni Agnelli

CON LA SUA MORTE SI E’ CHIUSA UN’EPOCA.

Nel decimo anniversario della sua morte ci piace ricordarlo in questa rubrica perché l’Avvocato, così veniva identificato da tutti, amava lo sport perché lo conosceva e lo conosceva perché lo praticava: sci e vela su tutto.

di Salvatore Faggiani.

24 gennaio 2003, Villa Frescot ci annuncia la fine di un’epoca ma non certo quella di una grande dinastia. A questo mondo nessuno è indispensabile, ma è assolutamente vero che esistono persone che, una volta raggiunta l’ultima dimora, si fanno rimpiangere per la loro insostituibilità. Per quel che riguarda un grande scorcio del secolo passato e un frammento di quello attuale, una di queste preziose rarità può essere certamente identificata nella figura di Gianni Agnelli. Con la sua dipartita e poi con quella successiva del fratello Umberto, magari non si è del tutto interrotta una potente e famosa linea dinastica, ma sicuramente ci si è trovati a dover fare i conti con la fine di un’epoca.

Il vuoto lasciato dall’Avvocato può essere classificato non solo pesante ma addirittura incolmabile, basta elencare le argomentazioni che classificano tale incolmabilità: applicazioni diverse e rivolte al mondo dell’industria, della finanza, della cultura, del costume e dello sport. Sono trascorsi dieci anni ma da quando il leone si è addormentato, un erede di pari pasta e dotato di carisma almeno simile non è riuscito nemmeno a fare capolino dal fondo di quello spazio rimasto libero.

Amava lo sport perché lo conosceva e lo praticava, e chi fa sport impara subito a rispettarne le regole e i valori, a misurarsi con le difficoltà e le asprezze, ad accettarne i verdetti. Solo così affina la competenza allontanando la faziosità. Gli piaceva vincere, tuttavia comprese prima di altri e meglio di tutti la fisiologica necessità anche di perdere in ragione dell’essere un vincitore credibile. Era ironico in tutte le circostanze ma soprattutto nella sconfitta sportiva che accettava sempre, anche quando non giusta e inficiata da agenti esterni, con un sorriso sagace, sornione e bonario. Era la sua cultura sportiva a permettergli di staccare la competizione dal contorno, delimitandone il contesto.

Negli ultimi anni di vita dovette pazientare lungamente per rivedere emergere e vincenti la Juve e la Ferrari. Queste lunghe pause avrebbero logorato chiunque, nell’Avvocato invece aumentarono il piacere dell’essere spettatore, senza intaccare il fair-play e l’ironia. Anzi, il rifiuto della polemica, facile ma sterile e, forse, così poco dignitosa per uno sportivo vero, è stata la sua peculiarità essenziale.

Attraverso il suo status di cittadino del mondo fece entrare la vela italiana negli aristocratici ambienti del New England, ispirando la sfida di Azzurra all’America’s Cup 1983.

Fu l’artefice della vittoriosa candidatura di Torino 2006, imponendo il suo prestigio internazionale laddove aveva fallito due anni prima una intera generazione di dirigenti sportivi italiani per Roma 2004.

Come tutti gli sportivi veri era anche un uomo generoso: infatti dal 1993 la Marina Militare annovera, tra le sue navi scuola o ad uso sportivo nella Sezione Velica, il Capricia, barca d’epoca donata dall’Avvocato e che i maddalenini hanno potuto ammirare durante le vacanze estive del Presidente Ciampi a La Maddalena.

Concludo con le parole di Giampiero Boniperti il giorno della sua morte: «Altre parole non trovo, perché non ci sono. Anzi, ci sarebbero: tutte le parole del mondo riunite in una. Ma l’immensità è descrivibile soltanto dal silenzio».

Massimiliano Marras

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