Home » News » Rubriche News » Personaggi famosi e cronache scombinate » Il Credo politico degli Arsenalotti – Terza parte.

arseTratto dal libro ‘Un porto di terza classe’.

… Un prete moderno, aperto, di cui ci si poteva fidare era il cappellano militare don Virgilio Frigiani, il quale, durante l’ora di religione alla Scuola Allievi Operai, permetteva che si discutesse di politica, con moderazione, ma in maniera libera ed efficace. Le idee innovatrici acquisivano una loro forza, tramite le sollecitazioni di un religioso non conservatore.

Alcuni di questi giovani operai socialisti compirono scelte ideologiche massimaliste e aderirono al PCI.

Alla fine del corso triennale Birardi, ad esempio, si trovò a dovere attendere, invano, la chiamata, da parte della direzione dell’Arsenale, per l’ingresso nei ranghi dell’azienda pubblica.

Fu durante quell’attesa (nel 1949) che il diciannovenne militante si recò a Sassari, presso la sede provinciale del Partito Comunista, per tenere un discorso sulla situazione politica nell’arcipelago. Lo notò il segretario Girolamo Sotgiu, che volle incontrarlo e invitarlo, con poche parole com’era suo costume, a trasferirsi nella città che allora era il capoluogo di provincia, per andare a dirigere la federazione giovanile.

Anche alla Maddalena, le elezioni politiche del 1948, tenutesi due anni dopo quelle amministrative e dopo il Referendum istituzionale, furono vinte dalla Democrazia Cristiana. La presa del partito cattolico sull’elettorato maddalenino era fortissima. La DC raggiunse la maggioranza assoluta con il 55,9% dei consensi, percentuale che andava oltre ogni più rosea attesa. In una condizione conveniente, sostenuta da una parallela realtà in tutto il resto della Penisola, i democristiani “isolani” avevano legittimato nuovamente il consenso per amministrare la città.

Il 18 aprile 1948 fu, invece, per i compagni del Fronte Popolare, un giorno di cocente sconfitta. La campagna elettorale era stata lunga e combattuta. Nella sezione comunista e in quella socialista, i militanti “juniores”, organizzati nel gruppo d’Avanguardia Garibaldina, avevano lavorato sodo per convincere gli elettori, appartenenti ai ceti meno abbienti e meno fortunati, a votare per quei partiti che avrebbero dovuto diffondere  le richieste dei lavoratori nel parlamento italiano.

Ci restarono male, quei compagni in erba, perché erano convinti che la sinistra avrebbe ottenuto la maggioranza a livello nazionale.

Così, quando il risultato delle urne si manifestò in tutta la sua consistenza, nella sezione del PCI, in Via XX Settembre, qualcuno pianse. Furono principalmente le compagne a piangere, colte da una delusione forte.

Gli uomini, invece, organizzarono un corteo e sfilarono per le vie della città, recando il fiore rosso all’occhiello e sventolando le bandiere con la falce e il martello.

Parteciparono alla manifestazione quattrocento persone almeno camminarono in silenzio, compatte, ad affermare la loro volontà e il loro immutato impegno mirato a far sorgere il “sol dell’avvenire”.

La presenza della componente di sinistra, fra gli operai sindacalizzati e politicizzati in Arsenale era forte, quindi, negli anni dell’immediato dopoguerra.

Nel 1949, ad esempio, questi lavoratori impiegati pur sempre alle dipendenze di un ente statale, inscenarono una manifestazione di protesta, dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario nazionale del Partito Comunista Italiano: uscirono da Porta Ponente e, marciando lungo viale Mirabello, arrivarono fino al centro della città, seguiti dai carabinieri, i quali non mossero un dito per contrastarli. Non accaddero incidenti, perché i militanti più anziani e assennati fecero rispettare l’ordine.

Prima delle elezioni del 1948 si era temuto che i partiti comunista e socialista fossero stati in grado di fomentare una ribellione in tutta Italia, per favorire la formazione di un governo di sinistra amico o satellite dell’Unione Sovietica.

Il cantiere navale di Moneta era covo di “rivoluzionari”, da contrastare con ogni mezzo lecito o illecito, secondo la visione delle gerarchie militari, da cui dipendevano l’amministrazione e il controllo, non solo aziendale, della struttura.

L’ammiraglio Antonio Cocco, che fu comandante della piazzaforte maddalenina dal 1971 al 1974, ha riportato nelle sue memorie un episodio sconcertante di cui è stato protagonista.

Il 21 febbraio del 1948, l’ancor giovane tenente di vascello era stato destinato al Gruppo Navi Uso Locale della base della Maddalena, con l’incarico di comandante della Motozattera 726.

“Pochi giorni prima delle elezioni del 18 aprile…. mi fu ordinato di ormeggiarmi di punta al moletto antistante l’ospedale della Marina, il che mi sorprese per la posizione inusuale – ha raccontato l’alto ufficiale – La sera precedente le elezioni furono imbarcate sulla motozattera due mitragliatrici Breda, di non normale dotazione di bordo. Com’è ben noto, la campagna elettorale si era svolta con toni molto accesi fra i due blocchi: quello social comunista e delle sinistre e quello democristiano e comunque di centro”.

Cocco spiega che la posizione d’ormeggio del natante era strategica perché situata ai bordi dell’unica strada che divideva allora La Maddalena dalla frazione di Moneta, borgata ritenuta una roccaforte delle sinistre, perché prevalentemente abitata da operai dipendenti dalla Marina Militare.

“Il mio compito era molto semplice: in caso di vittoria dei ‘rossi’ avrei dovuto evitare che essi occupassero il centro de La Maddalena, con qualsiasi mezzo, anche con l’uso delle mitragliatrici- ha continuato l’ammiraglio- Per mia fortuna, l’esito delle elezioni non fu in linea con le previsioni: sia La Maddalena, sia Moneta, diedero una grande maggioranza contraria alle sinistre e le mitragliatrici rimasero inoperose, con grande fortuna di tutti, ma innanzi tutto mia che, in caso contrario, avrei dovuto eseguire ordini che mi ripugnavano! E se, malauguratamente, fossi stato costretto a ordinare di aprire il fuoco, che avrebbero fatto i serventi? Avrebbero sparato sulla folla o, piuttosto, su chi aveva dato l’ok?”.

Il gran lavoro di propaganda svolto dal gruppo d’Avanguardia Garibaldina presso gli allievi e i “maestri” più anziani in Arsenale, si riassunse nell’imponente vittoria che il fronte social comunista, sostenuto dalla Massoneria, ottenne alle elezioni amministrative del 24 maggio 1952.

Nei banchi del Consiglio Comunale, che si riunì, il 3 giugno, sedettero tanti “uomini nuovi”.

Rappresentavano le diverse parti dell’eterogenea società isolana. La “buona borghesia”, quella che esprimeva il ceto imprenditoriale, agiato e industrioso, faceva esplicito riferimento alla Lista Cittadina.

Gli operai del cantiere, quelli che all’interno dello stabilimento avevano maturato una coscienza di classe e aderivano ai partiti di sinistra, con il loro voto disciplinato erano riusciti ad eleggere i riconosciuti leaders di sezione o i sindacalisti distintisi nella Commissione Interna.

Fu sicuramente all’indomani della conoscenza del risultato delle urne che il problema del contenimento dei ‘rossi’ nell’azienda pubblica fu preso in seria considerazione e fu elaborato il piano teso a colpire in modo violento le sinistre, per bloccarne i successivi sviluppi.

Ad un certo momento, il governo italiano intervenne con decisione, per riappropriarsi della sua funzione di severo ed esigente datore di lavoro.

L’operazione fu portata a termine in un arco temporale relativamente breve tra il 1952 e il 1957.

E, allora, l’azione popolare si esaurì in maniera traumatica e definitiva. Molti padri di famiglia, operai modello, in un battere di ciglia, furono privati di un diritto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, il diritto al lavoro.

Furono colpite persone leali, alcune delle quali non avevano neppure la tempra dei sovversivi, anche se votavano per il PCI, per il PSI o al limite ne frequentavano le sezioni.

Fondamentale allo scopo fu la decisione di puntare al cuore del sindacato social comunista e della Commissione Interna dell’Arsenale: molti, fra i dipendenti licenziati, erano consiglieri comunali, dirigenti di partito o rappresentanti sindacali. Fra i più noti: Augusto Morelli, Egidio Cossu, Pietro Balzano, Domenico Cuneo, Virgilio Licheri, Tonino Cappadona, Mario Filinesi, Tullio Cantini, Pietrino Del Giudice, Salvatore Brundu, Giovanni Murgia.

Il clima di caccia alle streghe stravolse il corretto dialogo politico nella città avviata ad una lenta e faticosa ripresa dopo i disastri causati dalla guerra e le conseguenze ne rallentarono la crescita civile per i decenni a venire.

Dopo i licenziamenti, all’interno delle officine si produsse un clima di terrore e di sospetto.

Gli operai perdettero la fiducia reciproca. Da un lato si andò alla ricerca, inutilmente, dei delatori per fargliela loro pagare. Dall’altra si volle evitare ogni discorso che richiamasse alla politica o che potesse urtare la suscettibilità dei militari. Un clima che causò ad alcuni operai anche delle patologie gravi di natura psicologica e che provoco disagi familiari.

Per qualche tempo, fra gli “arsenalotti”, la solidarietà diffusa e il sentimento d’amicizia vennero meno.

La lotta politica e l’antagonismo di classe passarono in secondo ordine. Si lottò solo per la sopravvivenza, recitando in un dramma collettivo, rappresentato in diversi atti e in un arco temporale sufficientemente breve.

In seguito alla triste vicenda dei licenziamenti, nell’isola più militarizzata d’Italia molti dei propri “figli”, che si dovettero guadagnare da vivere alle dipendenze del Ministero della Difesa, lo fecero dopo avere abiurato alla fede di una vita.

Pochi operai chiedevano la tessera della CGIL. Il rapporto di forza in seno alla Commissione Interna mutò notevolmente a vantaggio dei moderati e divenne di due rappresentanti a nove a vantaggio della CISL stessa, l’esatto contrario di quello che era nel periodo precedente all’epurazione”.

Tanti giovani in età lavorativa si fecero raccomandare dal parroco, bene inserito negli ambienti militari e ministeriali, per essere assunti in cantiere o per essere ammessi a frequentare la Scuola Allievi Operai.

Dalla metà degli anni Cinquanta del secolo appena trascorso sino ai nostri giorni, escluse le soluzioni di continuità che durarono lo spazio di un segno di croce, la stragrande maggioranza dei rappresentanti del popolo nell’assemblea civica provenne dalle officine dell’Arsenale di Moneta o dalle immediate vicinanze.

Gli amministratori pubblici d’estrazione “arsenalotta”, in quel frangente ebbero condizioni ambientali piuttosto vantaggiose. La politica fu fatta con il dovuto spirito di servizio, ma dalla “parte giusta”. “Abbiamo avuto grandi momenti. Per La Maddalena, a Cagliari e a Roma si aprivano tutte le porte.

Aldo Moro, Antonio Segni, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Nino Giagu. Avevamo tutte queste belle amicizie eravamo ascoltati, noi maddalenini, a livello governativo, da tutte queste persone che contavano. Buona parte del merito era da attribuire al parroco, don Salvatore Capula”- ha detto ancora Giuseppe Deligia.

Salvatore Marco Abate

Massimiliano Marras

Ristorante a La Maddalena

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