‘Su Maccu’, di Francesco Manco.
SECONDA PARTE.
… Ma ormai, s’era fatto troppo tardi e Sandro e Santa non potevano fermarsi, dovevano tornare subito a casa, dove ad aspettarli vi era la loro madre sicuramente spazientita, preoccupata ed infuriata. Prima di imboccare il viottolo di casa Sandro pensò: “Altro che marinaio! Qua ci vorrebbe una flotta intera di Orazio Nelson per riuscire a sedare le cannonate di mia madre!”.
Infatti, mamma Mariuzza stava alla porta ad aspettarli, con lo sguardo torbido e il viso grave e picchiettava sul palmo della mano il mestolo, come un guerriero che affila la spada prima della battaglia. – Che fine avevate fatto! Sono stata tutta il pomeriggio a occuparmi della casa e dei vostri fratellini, sono andata anche da zì’ Teresa per cercarvi e da zì’ Antò, ma nessuna ne sapeva niente, come se poi il paese fosse una città. Ma dico io- continuò rivolgendosi a Santa – invece di aiutare tua madre ed incominciare ad occuparti della casa come una signorina per bene, te ne vai a presso a questo perdigiorno che dovrebbe aiutare suo padre nel lavoro! Sapeste quanto me ne dicono in paese per colpa vostra, che mi devo sentir dire che mia figlia non è un buon partito e che mio figlio è un matto buono a nulla. Eppure, non mi sembra che navighiamo nell’oro e quel buon uomo di vostro padre si fa in quattro per farvi campare e per assicuravi una dote, sforzi inutili visto che nessuno vi vuole! San Gerolamo aiutaci tu!- e facendosi un gesto di croce prese i figli per l’orecchio e gli ordinò di aiutarla per la cena che –“Quel benedetto di vostro padre sta tutto il giorno in mare e il minimo che possiamo fare a fargli trovare un buon piatto caldo a tavola e la casa sistemata!”- diceva la Mariuzza sospirando la solita cantilena.
I due fratelli, come sempre, assecondarono la madre e con la stessa docilità di due cagnolini, colti in flagrante nel rovistare la spazzatura, si occuparono di apparecchiare la tavola, sbucciare la verdura e assistere la madre ai fornelli.
Intanto nell’altra stanza Gavino e Maddalena, il primo di tre e la seconda di cinque anni, erano alle prese con delle formine di legno e delle pietre e sembravano divertirsi molto, perché si sa che i bambini hanno la capacità di trasformare ogni cosa in un animale od eroe fantastico. E di tanto in tanto, alle risatine dei fratellini, Sandro si affacciava incuriosito e se non fosse stato per i continui sguardi minacciosi della madre, sarebbe andato a divertirsi con loro, che nonostante i suoi quattordici anni ne aveva da vendere di fantasia quel ragazzo. Così, tra una faccenda e l’altra, arrivò l’ora di cena e padron Gerolamo entrò a casa, stanco in viso e nel corpo, portandosi dietro sempre il solito odore di sale e pesce fresco. – Papà! Papà!- gridarono Gavino e Maddalena saltandogli in braccio. Ma il padre era parecchio stanco e non ebbe la forza neanche e di tenerli a lungo. – Vieni a tavola, se non la cena si fredda- disse la Mariuzza rivolgendosi al marito.
-Ah… anche stasera minestra … – e così dicendo iniziò a mangiare e lo si vedeva così abbattuto e stanco, che la stessa Mariuzza non volle chiedergli se quella giornata avesse pescato qualcosa, poiché ella sapeva che il marito non aveva preso niente ed era ormai da quasi un mese che le cose non andavano più bene.
Il silenzio investì la tavola, Sandro e Santa non fiatavano quasi e dentro di loro si sentivano un po’ in colpa. Solo i due fratellini ogni tanto si lasciavano andare a qualche giochino e risatina, ma nessuna gli badava, poiché per certe cose i piccoli sono sempre giustificati. La cena passò in questo clima da funerale e ognuno si occupò di qualcosa e, arrivata l’ora di andare a letto, i lumi vennero spenti e il silenzio dei grilli conciliò il riposo della famiglia Cossu.
Il giorno spuntò al canto del gallo, ma già padron Gerolamo si trovava da qualche parte con la canna in mano e la paglietta in testa e la Mariuzza da un ora buona era andata a prendere dell’acqua. Sandro e Santa si alzarono di malumore, un po’ per la sera prima e un po’ perché si sa che i ragazzini amano dormire; e non ebbero il tempo di stropicciarsi gli occhi che la madre arrivò sparata in casa con una pila di panni e un secchio in mano, che nel guardala in viso si sarebbe detto che portasse due blocchi di granito. – Siete svegli finalmente! È bello dormire mentre vostra madre si spezza la schiena, ma vedete voi oggi cosa vi combino se non fate qualcosa… Homine dormidore, pagu cuidadosu.[1] Sandro tu vai a Calagavetta e sbroglia le nasse che tuo padre ha lasciato sul molo questa mattina. Allora, il ragazzo a malincuore prese una mela e uscì di casa con la sorella che lo seguiva. – E tu dove pensi di andare?- disse la madre rivolgendosi a Santa- tuo fratello non ha più bisogno del cane accompagnatore, ormai deve imparare a comportarsi da ometto e riguardo a te è ora che ti faccia diventare una donna per bene. Porse allora un montone di lenzuola sporche nelle esili braccia della Santa, che sotto quel cumulo di panni non la si vedeva più. – Vai al lavatoio e lava queste lenzuola, devono diventare bianche e linde come la neve-. In questi casi c’èra poco da replicare, quando la Mariuzza si metteva in testa una cosa era impossibile smuoverla, ti ronzava intorno senza lasciarti respiro e non a caso le comare erano solita chiamarla “Muscona” [2] quando volevano prenderla in giro.
Fratello e sorella si guardarono e capirono che quel giorno dovevano cavarsela da soli.
Quando Sandro arrivò al molo di Cala Gavetta, il sole già scaldava e l’aria era afosa. Si sentiva morire alle prese con tutte quelle reti e quei nodi e quei giri imbrogliati ed ammassati e passò solo un’ora che il ragazzo si ritrovò tutto sudato e legato. Odiava la pesca e tutto ciò che la riguardava. Le volte che suo padre lo trascinava si annoiava a morte e non capiva che cosa ci fosse di bello nell’aspettare ore e ore per prendere qualche pesce, che sicuramente voleva restare a casa sua nell’acqua; e le volte che non pescano niente o poco, stizzito chiedeva al padre:- Ma perché tanta fatica e sforzo per niente? Tutto questo per un misero pesciolino!-. Allora, il padre lo guardava fisso in viso, con quello sguardo che lo si capisce che ha guardato per molto tempo il mare e da uomo umile che era rispondeva:- De su trabagliu fattu non ti nde pentas mai–[3].
Ma Sandro tutte le volte se ne pentiva e non riusciva a capacitarsi di tutta quella fatica, di tutta quell’attesa, di tutta quella delusione per un pugno di sopravvivenza. – Una vita intera ad aspettare la morte, bel lavoro! E poi si sa che senza dinari non si cantat missa[4] – pensava Sandro mentre era ancora alle prese con la nassa e d’intanto il suo sguardo si spingeva oltre il mare, oltre gli isolotti di Santo Stefano e di Spargi, oltre Santa Maria e Palau, oltre la Sardegna e oltre l’oceano. – Un giorno me ne andrò da questo posto, al diavolo i pesci, la casa e queste maledette nasse. Andrò fuori a far fortuna e passerò le giornate a passeggiare e a godermi il bel sole d’estate e il fresco d’inverno, mi tufferò da dove voglio io e sarò padrone di me stesso!-. Sandro era deciso a lasciare quell’isola un giorno, si era stufato di tutti, di sua madre che lo rimproverava sempre, di suo padre che non pensava ad altro che la pesca, dei ragazzi dell’isola che lo additavano neanche fosse il figlio del diavolo e delle comare che quando passavano si facevano il segno di croce. CONTINUA…