di Salvatore Faggiani.
La Maddalena, 3 Marzo 2011.
Chi quotidianamente vive in quella vasta area che è denominata Occidente e magari si informa, legge o guarda la tv, ha la sensazione di essere circondato da un mondo estremamente violento.
Ora Basta!
Ma in che mondo viviamo? Questa domanda, senz’altro, se la sono posta in tanti, soprattutto in questi ultimi giorni. E’ una domanda che non nasce da avvenimenti quali l’attuale instabilità politica o crisi economica, seppur gravi. Nasce dal mostro ovvero dall’orco, come affermato dal parroco di Brembate, che si è profondamente radicato nell’animo e nel corpo umano. E’ una escalation di violenza preoccupante e tragica che colpisce in particolare le donne e i bambini. E’ ora di porre fine a questo progressivo intensificarsi della manifestazione di violenza e aggressività che sconfinano sempre di più nel crimine. Un crimine orrendo, crudele e orribile come quello subito dalla piccola Yara. Ma quante Yara dobbiamo ancora sopportare prima di trovare una soluzione alla violenza che domina e avvelena tutta la società, la famiglia, i singoli? A cosa serve creare una famiglia, come quella di Yara, per poi subire la furia di un mostro che si accanisce con becera cattiveria contro la purezza e l’innocenza di una bambina? A cosa serve il desiderio di condurre una vita lunga e piacevole? A che è servito vivere solo 13 anni? A sognare e costruire progetti adolescenziali? Quale è stato lo scopo? E adesso? E dopo? Perché? Per cosa? Per chi? C’è un’unica risposta a tutte queste domande: Basta alla violenza! I motivi di questo cancro dell’umanità sono diversi e le spinte verso il ricorso ad essa sono egualmente svariati: l’orientamento ad un edonismo spicciolo, ad una ricerca ossessiva del piacere e del divertimento immediati, ai soldi, alla carriera, al potere. Sentiamo che la vita è quella che viviamo adesso, qui, sulla Terra; le promesse di una giustizia divina dopo la morte, della beatitudine raggiungibile in mondi ultraterreni ci sembrano aleatorie quando le vittime sono i bambini.
«Se Dio non esiste, tutto è permesso» diceva Dostoevskij.
E perciò tendiamo a rimuovere, con un’aggressività che il più delle volte sconfina nel crimine, ogni ostacolo che si frappone alla realizzazione dei nostri desideri. Inoltre la violenza prospera su un terreno di eccessiva tolleranza maturato in alcuni ambienti religiosi e intellettuali. Per cui il criminale gode di eccessive giustificazioni, si cerca sempre un alibi alle reazioni più riprovevoli, come: i traumi infantili, l’esclusione sociale, la famiglia, la scuola, la società. Non che questi alibi siano del tutto falsi, soltanto che ciascuno di noi deve essere chiamato a rispondere, a sentirsi responsabile delle proprie azioni. Altrimenti non si spiega come, date le medesime circostanze, c’è chi delinque e chi no. Il concetto di «responsabilità» deve tornare a far parte del vocabolario delle società occidentali. Ed anche quello di «repressione». La società, chi è preposto all’ordine pubblico, non può tollerare i comportamenti violenti, anche quelli di minore entità, e soprattutto quelli rivolti contro i bambini. Anzi si è visto che la politica della «tolleranza zero» negli Stati Uniti ha dato ottimi risultati. Le teorie idrauliche sul comportamento umano, forse hanno fatto il loro tempo. Comprimere e coartare la violenza non significa renderla più esplosiva e pericolosa. Qualcuno storcerà il naso nel leggere questo concetto, d’altronde anche i Vangeli dicono che «chi non prova sentimenti d’amore e rispetto verso i bambini è meglio che si attacchi una macina al collo e si gettasse da un dirupo».