La parole in libertà non sono un nuovo metodo opposto a quello del verso libero. Sono la totale liberazione della poesia da tutti i metodi…» (Filippo Tommaso Marineti)
Non sappiamo se volesse raggiungere lo scopo di non farsi capire o se cercasse di sintetizzare al massimo i pensieri , trasformandoli in effetti acustici piuttosto che in discorsi intelligenti.
Di sicuro, immaginava, il signor Giovanni Muredda della Maddalena. Fantasticava e imponeva il suo linguaggio poetico “nuovo”, il suo stile essenziale, con metafore indesiderate e onomatopee, non privo di lirismo, nel racconto dei fatti, e delle opinioni, sue e personalissime.
Era un genio del ragionamento privo di senso, senza capo, ne coda, zi’ Giovanni, e per questo era ricercatissimo, era a suo modo un artista “improvvisatore”, molto gettonato dalle compagnie giovanili e dai meno giovani che volevano sgombrarsi la mente. Ma il bello era che, invece,di liberarsi, alla fine della fiera, le teste degli ascoltatori erano più pesanti di quando avevano deciso di incoraggiare le performance dialettiche di Muredda.
Parole in libertà o “paroliberismo”: è un’ espressione letteraria che hanno introdotto i futuristi. Le parole che formano un testo non hanno nessun legame grammaticale e sintattico. Non vi è nessuna consequenzialità nel periodo, anzi non esistono i periodi e non esistono le frasi.
I principi e le regole di questa tecnica letteraria sono state individuate e scritte da Marinetti nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista” dell’11 maggio 1912 e riprese anche nel successivo “Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà” dell’11 maggio 1913.
«Ora supponete che un amico vostro dotato di questa facoltà lirica si trovi in una zona di vita intensa (rivoluzione, guerra, naufragio, terremoto ecc.) e venga, immediatamente dopo, a narrarvi le impressioni avute. Sapete che cosa farà istintivamente questo vostro amico lirico e commosso? … Egli comincerà col distruggere brutalmente la sintassi nel parlare. Non perderà tempo a costruire i periodi. S’infischierà della punteggiatura e dell’aggettivazione. Disprezzerà cesellature e sfumature di linguaggio, e in fretta vi getterà affannosamente nei nervi le sue sensazioni visive, auditive, olfattive, secondo la loro corrente incalzante. L’irruenza del vapore-emozione farà saltare il tubo del periodo, le valvole della punteggiatura e i bulloni regolari dell’aggettivazione. Manate di parole essenziali senza alcun ordine convenzionale. Unica preoccupazione del narratore rendere tutte le vibrazioni del suo io». (Parole in libertà di Filippo Tommaso Marinetti in Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà)
La prima celebre uscita in pubblico delle tavole parolibere futuriste si ha con Zang Tumb Tumb (1914), di Marinetti.
Giovanni Muredda viveva a La Maddalena, non conosceva il futurismo. nessun altro genere letterario e, forse, era anche analfabeta.
Appariva sempre indaffarato. Non si sapeva che mestiere svolgesse, come si guadagnasse da vivere. Di sicuro non contava i milioni.
Camminava, camminava. Andava e veniva da Caprera a Spalmatore, percorreva decine di chilometri a piedi. Spesso si fermava a bere un bicchiere di vino, a mangiare un tozzo di pane e formaggio o una minestra calda da Stefano Piras, il pastore-poeta che teneva il bestiame, numeroso e pasciuto, in un terreno pianeggiante a ridosso del mare, laddove oggi si trova l’elegante villaggio residenziale che porta il nome di colui che un tempo era il padrone dell’area divenuta fabbricabile. (Villaggio Piras).
Involontariamente era un virtuoso della comicità demenziale.
Sentite gli auguri che formulò ai maddalenini in occasione del “nuovo anno 1979”.
“Buona fortuna amici della Maddalena, per il 78-79, a tutti amici maddalenini e le maddalenine, signorinette, studenti e stundetecche.
Buoni studenti di andare a comandare a Roma fra pochi anni, tutti quanti insieme in buone condizioni, dei maddalenini formatisi a dare esempio di cittadinanza, che sia meglio di com’è , che sia degno di nome, non abbiamo una grande coscienza, in un’ amministrazione che non ha mai formato le cose come si devono.
Siamo nati e rinati, così rinati, a riconoscenza e sempre con la paura di parlamentare, alla paura, niente paura di parlare, le cose giuste vengono dichiarate e portate fuori, e che non sia alto tradimento.. Senza scopo di coscienza, di una coscienza libera e amministrata, sicura in tutte le cose che verranno, in anticuli e costanticuli e le province d’ Italia, e una presa di benevolenza, di una generosità e di una moralità.
A nostra riconoscenza, benevolenza, e molta moralità, e cinquanta modi di moralità di parlare agli scienziati per bene.
Lo dice il signor Giovanni Muredda della Maddalena.”
Un capolavoro nell’arte di comporre “tavole parolibere” e, come diceva Martinetti e come confermavano i critici letterari del Ventennio”, un esempio chiaro di prosa “giustappositiva “ ed “ellittica”, resa più viva dagli esempi e dai giudizi “non sense”.
Giovanni era un caposcuola. Nessuno si è mai accorto della sua arte e delle sue doti innate. Era il rappresentate all’isola di un genere letterario all’avanguardia, di massima tendenza a livello nazionale.
Lui non ne era consapevole. Poco male. Ma quelli che gli ronzavano attorno sapevano di avere a che fare con un “nume tutelare” del “paroliberismo”? Sicuramente no!
Le parole che sono utilizzate per imitare i rumori si chiamano onomatopee e le troviamo nei fumetti quando si vogliono riprodurre a livello fonetico i suoni e i rumori: tipo “gnam gnam”, “gulp!”, e il tic-tac dell’orologio, il din-don delle campane, il patatrac di una caduta e mille altre.
Le parole onomatopeiche forniscono un solido contributo sonoro alle immagini e danno l’idea del movimento rapido, intenso.
Ascoltiamo quest’altra frase di Giovanni Muredda- frutto della memoria del nostro amico Francesco Grieco, nel corso di una testimonianza in pretura: “…Eramo traballando sulle alte e le basse montagne della Corsica, siò pretò … era tutto un burbuglio, rara rara cantonara, mastro pisciante ràios ……”
Barbuglio: onomatopea “mureddiana”che indicava il caos, lo sconvolgimento.
E il resto: immaginiamo una valle desolata e la gente che scappa, turbata da un agente esterno, estraneo, che non era specificato (forse i soldati tedeschi, e “raios” starebbe per “raus” )
Ci dimentichiamo del Giovanni “maitre à penser” , intervistato, da Pierluigi Cianchetti sui costumi e sulle pratiche dell’arcipelago?
Ascoltiamolo in religioso silenzio: “La bellezza… la mamma è bella il babbo è brutto, il babbo è bello, la mamma è brutta. Il trucco. La faccia, la bocca, non era così sempre, ritrovato anche i giovani, le donne e i giovani, anche le sposate, figli grandi, il trucco delle mamme, trucco per fare l’amore.
Truccarsi i capelli, in bocca, tutti e non mi piace tutto. Trucco di mafia, tante cose, trucco per l’amore, per dare una simpatia, un’altra cosa, un reggipetto più bello, una donna per essere simpatica… Questo o quello, gli antichi se ne fregavano, facevano il pane, lavoravano, erano belli in natura e basta.
Le celebrità, turisti e turiste, artisti, sono riformati così.
Milioni in perdita per l’Italia e chi li paga. Chi lo vuole fare lo fa, chi non lo vuole fare non lo fa.
Figli illegittimi. Senza babbo, ma con mamma. Il nostro nome a tutto il mondo, il nome del babbo o della mamma. Chi la mostra l’intimità, il matrimonio finisce, può trovare male il giovane o la giovana.
L’esaminazione alla persona intelligente, devono sposare e andare d’accordo con i mariti.”
Perle di saggezza. Stupendo!
Salvatore Marco Abate