Tratto dal libro ‘Un porto di terza classe’.
… Gli arsenalotti erano ottimi dirigenti politici, ottimi sindacalisti e ottimi amministratori pubblici”.
Al momento di vidimare il cartellino d’entrata, prima che l’avversario politico- comunista contro democristiano, democristiano contro fascista e via discorrendo- ogni operaio aveva accanto o di fronte a se una persona come lui, con i pregi e i difetti di un essere umano, di un padre o di un figlio di famiglia, impegnato a portare a casa “la pagnotta”.
Anche nelle occasioni in cui le maestranze erano chiamate ad esprimere il voto per la Commissione Interna, si cercava, a volte senza riuscirci, di presentare liste unitarie. I rappresentanti sindacali incitavano a trovare “l’unità della classe operaia”, “salutando” la possibilità per loro di avere una rappresentanza all’interno dello stabilimento, come una conquista di tutti, indistintamente, i lavoratori.
In un volantino diffuso dalla CGIL, in occasione delle elezioni della Commissione Interna- non è riportata alcuna data, ma dal nome dei candidati si desume che il documento è riferibile ad una tornata elettorale anteriore al 1957- si legge una frase indicativa: “…l’istituto della Commissione Interna è l’organo rappresentativo non di una parte- sia essa politica o sindacale- ma di tutti i lavoratori indistintamente, ci sforzeremo, una volta eletti, a lavorare per giungere a tale obiettivo, per fare di quest’organo lo strumento indispensabile per l’interesse della collettività”.
Non fu un terreno di scontro politico acceso, l’Arsenale, se si eccettua l’infausto periodo dei licenziamenti, di cui parleremo in seguito.
Si dovrebbe dire piuttosto che, quel luogo di lavoro, per gli operai giovani e meno giovani, per i maestri e per gli allievi, fu una scuola di vita.
Accadeva anche che un maestro o un capo officina comunista rendesse palese il suo titolo di vanto, nel momento in cui era riuscito a trasmettere i segreti dell’arte ai suoi allievi.
E che questi, pur non condividendo la sua visione del mondo, fossero devoti e riconoscenti per tutta la vita nei confronti di quell’insegnante amabile, perché aveva permesso loro non solo di imparare un mestiere, ma anche di acquisire quei valori esemplari, quali l’onestà, la disciplina, la dedizione al lavoro, da assumere a riferimento nella loro vita di relazione, in pubblico e in privato.
Fu una scuola l’Arsenale, intesa come spazio all’interno del quale era possibile affinare le doti necessarie per diventare cittadini modello, pronti a giocare un ruolo nella comunità civile e, nei casi eccezionali, a porsi alla sua guida.
Nelle liste dei candidati alle prime elezioni amministrative del dopoguerra, che si tennero il 7 aprile 1946, gli arsenalotti erano presenti in gran numero.
Se ne contavano in tutte e tre le formazioni in campo: nella lista del Popolo, in quella democristiana, che fu vincitrice, e nell’altra, d’impronta laica e massonica, denominata Lista della Ricostruzione maddalenina.
Furono eletti, in massima parte, quelli che si erano candidati nella DC. Qualcuno di loro, ad esempio Pietrino Isoni e Pasquale Porchedda, divenne anche assessore.
Durante i momenti di libertà dallo studio e dall’attività pratica, gli allievi operai “di sinistra” si riunivano nella ricostituita sezione del Partito Socialista di Piazza Matteotti, dove i compagni più anziani, tenevano loro delle vere e proprie lezioni di politica.
Leggevano molto, quei giovani, e le letture che li affascinavano erano ovviamente quelle a contenuto sociale, rivendicativo: il Don Basilio, Il Calendario del Popolo, Vie Nuove…
Anche all’interno dell’Arsenale, la vicinanza di tanti operai anziani che militavano nel PSI o nel PCI permetteva un continuo scambio di opinioni sugli avvenimenti politici più importanti, a livello nazionale e internazionale, e ad un affinamento delle idee e dei metodi.
Gli allievi muovevano i loro passi con la dovuta circospezione, anche quando facevano politica al di fuori del luogo di lavoro.
Lo stretto legame che la parrocchia vantava con i comandi militari, acuiva il pericolo di punizioni o di radiazioni. Non si potevano correre rischi di quel genere, perché nell’immediato dopoguerra mancavano, alla Maddalena, le scelte occupazionali valide rispetto al lavoro in Arsenale.
-Continua…
Salvatore Marco Abate