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Sandro Serreri
Sandro Serreri

La Maddalena, 16 Luglio 2013.

Di Sandro Serreri.

Ascoltando e leggendo il dibattito politico (ma, perché non anche culturale?) sullo “ius sanguinis” (in Italia vige questo, per cui è italiano chi nasce da genitori italiani) e lo “ius soli” (che con la riforma permetterebbe a tutti i nati sul suolo italiano di avere automaticamente la “cittadinanza italiana”), mi viene da dire… eh sì, si fa presto a dire italiani!

Ma, per fare un italiano non basta nascere in Italia, studiare in una scuola italiana e parlare l’italiano, come non basta mangiare gli spaghetti e la pizza.

Anche il nostro “bel Paese” è ormai un Paese che può dirsi, come la Francia e la Germania, multietnico. Questo, perché sono presenti, vivono e lavorano sul nostro territorio nazionale genti provenienti dai Paesi dell’Est europeo, dall’Africa, dall’Oriente e dall’America Latina. Si tratta di uomini e donne arrivati in Italia in cerca di lavoro, fuggiti dalla miseria e dalla fame dei loro Paesi natii, che si portano dietro i loro usi e costumi, tradizioni, cultura e religione, filosofia di vita e ideologia politica. Molti di questi, dopo aver trovato un lavoro stabile, legale e assicurato, hanno messo su casa e famiglia. I loro figli, pertanto, sono nati in Italia e in Italia stanno crescendo, sforzandosi, grazie alla scuola e alle relazioni intersociali, di integrarsi con noi italiani. Nessuno di questi, ovviamente e giustamente, ha cambiato lingua, cultura e religione. Questi, infatti, pur vivendo in Italia, continuano a rimanere ancorati alle loro radici e alla loro identità.

In questi ultimi mesi (ma il dibattito è iniziato nel 2009) da più parti politiche si sta dibattendo sulla “cittadinanza” da dare a questi extracomunitari, stranieri, non-italiani (insomma, come chiamarli? perché anche questo è un bel problema!) visto che, appunto, nascono in Italia, studiano e crescono in Italia, lavorano in Italia. Questo, perché, a detta di qualche politico, sono di fatto, nascendo sul suolo italiano, già italiani. Non resta, allora, visto che lo sono già, dare loro la “cittadinanza” italiana. Ma essere “cittadini italiani” ed essere “italiani” non può essere il risultato di una pura e semplice equazione.

Per fare gli italiani, ma non tanto quelli che sono usciti fuori dopo l’unità nazionale (152 anni fa), sono occorsi oltre tremila anni di storia, se prendiamo come termine d’inizio la fondazione di Roma. In oltre, i secoli del Medioevo, il Rinascimento e il Romanticismo, insieme a Cimabue e Giotto, Petrarca, Dante e Boccaccio, Leonardo, Raffaello e Michelangelo, Leopardi, Manzoni e Pirandello, Verdi e Puccini e… una cultura sterminata di letteratura, pittura, musica, folklore, danze e canti, dialetti, cucina e vini.

Gli italiani, quelli veri, sono quelli che possono orgogliosamente dire di essere figli di questa storia e di avere nel sangue la passione, l’arte e il genio dei grandi che abbiamo citato e di tantissimi altri.

Per questo, la “cittadinanza”, che pur è grande diritto e ci farebbe tanto onore, se la concedessimo a chiunque ne facesse richiesta dopo aver dimostrato sinceramente di voler contribuire al “bene comune” del Paese Italia, è però ben altro dalla identità italiana.

Noi italiani, piuttosto, faremmo bene a rafforzare le nostre radici, a non perdere la memoria della nostra storia, a coltivare quelle arti che ci hanno reso grandi in tutto il mondo, anziché scimmiottare usi e costumi che non ci appartengono, che non sono nei nostri geni, ad essere qualunquisti e disposti ad apparire privi di radici profonde e solide, quando invece abbiamo un passato che è bussola per quasi tutta l’umanità, sicuramente almeno per quella che si riconosce e si identifica nel cosiddetto “mondo occidentale”.

Pertanto, se di problema, a riguardo, si deve parlare, questo non è rappresentato tanto da coloro che chiedono la “cittadinanza” – come democrazia dovremmo essere più che sufficientemente maturi da poterla concedere dietro un attento e serio discernimento socio-politico – quanto da noi italiani che, così facendo, se non stiamo attenti, rischiamo di smarrire le nostre radici e la nostra identità.

Si può avere una forte identità pur nella diversità, come si può essere figli di Dante o di Leonardo pur vivendo e lavorando con un romeno, un nigeriano o un filippino.

Perciò, consiglio ai veri italiani un di più di orgoglio affinché, più forti nella nostra identità, possiamo essere più accoglienti e ospitali, per tornare ad essere multietnici come lo sono stati i nostri avi nell’antica Roma e nel Medioevo.

Massimiliano Marras

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