Di Giancarlo Tusceri.
La morte di Gino Zasso è di quelle che – per la mia generazione in particolare – ti lasciano di sale.
Entrai in contatto con lui all’età di 29 anni. Io scrivevo per la terza pagina de La Nuova Sardegna, lui curava la cronaca dall’Isola, con precisione, puntualità e, soprattutto, senso della notizia.
Si distinse notevolmente durante la primissima fase d’insediamento della Base USA. La nostra amicizia risale, e solo per merito suo, al 1973, quando ebbe l’intuito di venirmi a trovare in biblioteca, per costruire due paginoni da destinare alla terza pagina del nostro giornale, coinvolgendomi in interviste al generale Ferracciolo e ad altri superstiti della “battaglia di La Maddalena” che lui aveva avuto modo, negli anni, di conoscere.
Pubblicammo le due puntate, alternando i cognomi: Tusceri-Zasso nella prima e Zasso-Tusceri nella seconda, proprio per voler sottolineare un sodalizio.
Da quelle interviste, a cui seguì una tesi di laurea di una brillante Rita Arpelli, si arrivò al volume de “La battaglia che non fu mai”, che presentai nel 2009, presente proprio Gino Zasso. Ricordo che io ero soffocato dalle lacrime per l’emozione e lui, abbracciandomi, mi disse: “Perché piangi? Dovresti essere felice per questo risultato. Cosa dovrei fare io, allora?” Ma non avevo capito e, soprattutto, non sapevo cosa volesse dire.
Per tornare alla sua carriera da giornalista, a seguito della spaccatura del corpo redazionale storico de La Nuova Sardegna, dopo l’avvento di Rovelli, ebbe il coraggio e la forza di prendere una decisione tempestiva: rompere con l’Insegnamento alle Scuole CEMM, lasciare la cronaca e imbarcarsi per l’avventura giornalistica cagliaritana, all’interno del corpo redazionale di Tuttoquotidiano.
Lo invidiai: io non avevo saputo mai mollare gli ormeggi dallo scoglio. L’avventura risultò largamente vincente, dal punto di vista della professione giornalistica, e Gino divenne presto un apprezzato redattore e un equilibrato commentatore politico. Venne quindi assorbito dall’Associazione Regionale prima e dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, poi, che trovarono in lui una persona di particolare equilibrio ma mai remissivo, di fronte agli interessi della categoria. La sua professione divenne quasi una religione, da seguire sempre con dignità e coerenza ma mai con protervia e arroganza. Le sue cronache per Il Corriere della Sera erano sempre di una chiarezza e di una precisione particolari.
Mantenne, non solo con me, che, per motivi di forza maggiore, avevo dovuto prendere il suo posto come corrispondente de La Nuova Sardegna, ma con tutti gli isolani che ambivano a iscriversi all’albo, un ottimo rapporto.
Dava una mano a tutti, era rimasto amico di tutti. A volte ero costretto a rilevare come lui, pur assente dall’isola, continuasse a seguirne le evoluzioni (o involuzioni) politiche, con una passione ammirevole.
Ricordo, ai tempi di Tuttoquotidiano e della spietata concorrenza con La Nuova Sardegna, che talvolta, per questioni cruciali legate alla “sopravvivenza” non solo economica dell’isola, ci si consultava in gran segreto. Ci si scambiava opinioni e quindi si arrivava a mantenere un’unica linea di condotta, nell’interesse generale. E questo merito va ascritto unicamente a Gino, che aveva maturato una grande visione di gioco, mentre a La Maddalena, talvolta, giornalisticamente, ci si cavava gli occhi.
A questo punto merita ricordare anche il suo senso dello humor. Quando ci fu il naufragio della Montestello, sugli scogli dei Barrettini, si scoprì che un cane era rimasto intrappolato nella stiva, esattamente all’interno di un’auto. La proprietaria del cane (che era stata evacuata in fretta e furia con la promessa che il cane l’avrebbe seguita) si rivolse, una volta in salvo, a Brigitte Bardot perché si facesse qualcosa per quell’animale abbandonato nel ventre della nave in secca. Nessuno conosceva il nome del cane. Tutte le testate giornalistiche, nazionali e non, attendevano che qualcuno “sparasse” il nome, per farne un titolo. Io, dopo aver tentato di attingere informazioni in merito presso l’agenzia marittima francese, persino presso la segretaria dell’Associazione Protezione Animali di Parigi, mi arresi. Verso le 22 mi giunse, però, una telefonata. Era Gino Zasso, da Cagliari, che mi contattava a nome e per conto de Il Corriere della Sera: occorreva “trovare” a tutti i costi quel nome. Risposi che ero desolato, ma che non si trovava. A quel punto Gino tuonò: “Non hai capito. Non lo devi trovare. Lo devi trovare tra virgolette. Insomma, te lo devi inventare. Se parte da te, che sei in zona, la riprendo io per il corriere. Con me c’è il collega di Repubblica e le agenzie ci seguono a ruota. Almeno ce la faranno finita e la smetteranno di romperci le scatole con un particolare tanto stupido. Pensai allora ad un cane molto antipatico di una vicina, che chiamavano Mat. E sparai: va bene Mat come Matteus, il famoso giocatore dell’Inter. Ok. Il cane venne battezzato. E un’ora dopo la TV poteva gloriarsi del fatto che il nome del cane era Mat. Ridemmo a crepapelle per un’intera stagione della stupidità di certo tipo d’informazione, che distava mille miglia dalla nostra impostazione mentale, volta sempre alla precisione della notizia.
Ma erano altri tempi. Tempi in cui il giornalismo era una componente essenziale della vita civica e delle sue scelte economiche, politiche e persino militari. Erano tempi che Gino aveva vissuto appieno e per cui si era battuto a lungo. Rammento le sue battaglie contro il depotenziamento delle Scuole CEMM, o quelle contro la illogica trasformazione di Piazza Umberto I, a sostegno degli strumenti urbanistici, per impedire la devastazione della costa… Erano proprio altri tempi e forse pure altri uomini. Addio Gino, porti con te un pezzo di storia dell’Isola.